CICUTA, se la conosci la eviti

Tra le tante specie di piante che possiamo osservare nel Parco Naturale della Cervelletta, troviamo anche quelle che richiedono particolare attenzione e prudenza dovuta alla loro tossicità. Una di queste è la cicuta. Esistono tre specie di questa pianta, genere delle ombrellifere e tutte e tre velenose: la cicuta maggiore, la cicuta minore e quella acquatica.
La cicuta è una pianta erbacea originaria dell’Europa, appartenente alla famiglia delle Apiacee, a ciclo biennale, cresce ai margini dei sentieri, in ambienti umidi e ombrosi, presso vecchi ruderi.
La cicuta maggiore (Conium maculatum, dal greco konion che significa uccidere) è la più comune, passata alla storia per essere stata la bevanda mortale di Socrate. Questa pianta si confonde facilmente con la carota selvatica ma si riconoscere dal forte odore di urina di topo.
I fiori sono bianchi, raccolti in ombrelle; le foglie superiori simili a quelle del prezzemolo, sono piccole e tripennatosette (in quanto i lobi sono suddivisi tre volte), mentre quelle inferiori sono grandi e irregolarmente frastagliate. La radice è bianca e sottile e il fusto alto 2 metri, è leggermente scannellato e cavo, cosparso sulla superficie di macchie rosso violacee.

L’intera pianta della cicuta maggiore è velenosa e l’alcaloide più tossico, è la “coniina”, quello appunto, che provocò la morte al filosofo Socrate nel 399 a.C., contenuto nei frutti ovoidali, che hanno un sapore amaro e nauseabondo.
In medicina, se usata in dosi terapeutiche, possiede proprietà antispasmodiche, neurosedative e analgesiche. Diversamente quest’erba è un potente veleno che provoca gradatamente diminuzione delle sensibilità e della motilità, paralisi dei muscoli volontari e infine morte per blocco respiratorio.
La cicuta minore (Aethusa cynapium) o cicuta aglina, alta 30-80 cm., si confonde con il prezzemolo selvatico o il cerfoglio e non si differenzia particolarmente dalla precedente se non per l’intenso odore di aglio. La sostanza velenosa è la cinapina che al pari della coniina determina un quadro tossico caratterizzato da nausea, vomito, rallentamento della frequenza cardiaca e progressiva paralisi muscolare che conduce ad arresto cardiaco.
La cicuta acquatica (Cicuta virosa): cresce negli habitat umidi, come fosse di drenaggio o paludi. Ha foglie composte, piccoli fiori bianchi o verdi, tuberi grandi, radici cave. Può raggiungere un’altezza di 2,5 metri. La sostanza tossica è la cicutossina che determina precoce comparsa di vomito e diarrea; quindi, dopo circa una-due ore compaiono le convulsioni.
Occorre fare attenzione all’assunzione di piccoli uccelli (allodole, tordi, quaglie o coturnici – da qui il termine coturnismo – ) cacciati in primavera. I volatili sono resistenti agli effetti della cicuta ed in primavera si nutrono dei germogli che appena spuntati sono inodori.

(Fonti: Enciclopedia Erbe e salute . Ed Rossi – Bulgarelli G., Flamigni S., 2014 – Le piante tossiche e velenose. Hoepli Editore, Milano)

LA MAGIA DELLE LUCCIOLE

Le lucciole in Italia sono sempre più rare ma esistono ancora molte zone in cui è possibile ammirarle nelle notti d’estate. Uno di questi luoghi è vicino a noi, nel Parco Naturale della Cervelletta. La visita notturna organizzata dall’Associazione è fonte di tante scoperte e sensazioni ma è anche un modo per avvicinare il pubblico ad organismi che svolgono il ruolo di indicatori ecologici, tra i quali, senza dubbio, le lucciole.
Le lucciole svolgono un ruolo ecologicamente significativo negli ecosistemi in cui vivono. Le larve di lucciole sono predatrici e si nutrono di lumache, chiocciole, anellidi e altri piccoli invertebrati. Questo aiuta a mantenere sotto controllo le suddette popolazioni di invertebrati.
Le lucciole sono dei piccoli coleotteri appartenenti alla famiglia dei Lampiridi con oltre 2000 specie nel mondo e 22 in Italia, (Luciola italica tra le specie più comuni).
Maschio e la femmina presentano grandi differenze tra loro: il maschio è dotato di ali forti e spesse ed è di colore bruno-giallastro, mentre la femmina rimane tutta la vita a uno stato larvale, con ali piccole e deboli che non le permettono di volare ed è di colore bruno-rosato.
Usano la luce per la comunicazione sessuale: il maschio vola emettendo una luce intermittente, per attirare le femmine con il loro bagliore, mentre la femmina rimane ferma tra la vegetazione e si illumina di luce fissa in attesa che il maschio la noti. Ogni specie ha un proprio codice di luminosità e intermittenza. Brillano di luce propria grazie ad una reazione chimica: in organi dell’addome una molecola chiamata luciferina in presenza di ossigeno e di un enzima detto luciferasi, si trasforma emettendo luce. Le lucciole usano la bioluminescenza pure per farsi riconoscere dai predatori quando sono ancora larve.

Preziose sentinelle della qualità dell’ambiente, ispiratrici di emozioni, malgrado la loro magia e il loro rito di accoppiamento che si dipana nel buio, le lucciole sono un mondo affascinante, ma poco conosciuto. Nel corso degli ultimi decenni, infatti, questi piccoli animali hanno sofferto l’impatto di fattori come inquinamento luminoso, agricoltura intensiva, urbanizzazione del territorio, utilizzo di insetticidi. Tanti scienziati e scrittori ne hanno lanciato l’allarme, a partire da Rachel Carson nel 1962 e da Pier Paolo Pasolini nel 1975.
Intorno al suggestivo spettacolo delle loro luci sono nate leggende, miti e usanze. Essendo un animale legato alla vita notturna, la lucciola viene ritenuta un messaggero tra il mondo reale e il mondo dei sogni. Secondo la tradizione è capace di portare in superficie le questioni celate nell’inconscio. Rappresenta l’intuizione, la creatività, la leggerezza e la sincerità.
Simbolo di luce interiore, insegna ad “illuminarsi” sintonizzandosi sull’alta frequenza del cuore, dove regna l’amore per se stessi e per gli altri.

(Fabrizio Fanti, “Guida delle lucciole d’Italia – Lampyridae” – Focus 346, agosto 2021 dedicato alle lucciole).

Le MAPPE della CERVELLETTA

Giovedì 6 giugno si è svolta presso la Biblioteca della Vaccheria Nardi la presentazione del nuovo dépliant dell’Associazione “Uniti per la Cervelletta”, nella sua nuova veste di Organizzazione di Volontariato. Una “nuova associazione” che viene da lontano e continua la sua azione di salvaguardia, tutela e valorizzazione del Casale della Cervelletta, con un nuovo logo ed una nuova organizzazione. Alla presentazione del nuovo dépliant, con annessa cartina dell’area di pertinenza del Casale nella Riserva naturale dell’Aniene, Luigi Polito della Sogester (tradizionale punto di riferimento per l’associazionismo del nostro territorio) ha illustrato la creazione della nuova “Mappa del Parco della Cervelletta”. Rigorosamente disegnata a mano, come gli antichi cartografi che Luigi Cherubini, studioso dell’Agro Romano ci ha magistralmente fatto conoscere con il suo interessante intervento. Durante l’incontro si è voluto dare alla presentazione del nuovo dépliant un valore aggiunto, quello della “storia”. Per questo che, Luigi Cherubini ci ha illustrato le mappe dell’Agro Romano dal 1500 ad oggi, da Eufrosino della Volpaia, che disegnava nel 1547 la sua carta ad uso e consumo dei cacciatori della sua epoca, identificando chiaramente, per la prima volta su una mappa il Casale della Cervelletta; al Catasto Alessandrino del 1660, nato per la contribuzione alla manutenzione delle strade consolari al fine di ripartire equamente le contribuzioni tra i proprietari delle tenute adiacenti. Il valore artistico di questo famosissimo Catasto, dalla rappresentazione pittorica alle informazioni relative alla storia del territorio, la rendono una delle serie più preziose presenti all’Archivio di Stato. E poi vi sono le pregevoli carte dell’agrimensore Giovan Battista Cingolani, commissionata da Papa Alessandro VII Chigi nel 1692, che resterà carta di riferimento fondamentale fino alla metà dell’ottocento.
Questo breve ma intenso excursus storico sulle mappe, che hanno disegnato nel tempo l’Agro Romano, ci ha fatto conoscere un aspetto importante della storia del nostro territorio. Ci ha fatto capire come era “visto”, “cartografato”, “mappato” il territorio su cui oggi viviamo e, come il Casale della Cervelletta sia stato presente, vedetta silenziosa del passare della storia su questo territorio.

La Cervelletta nel Catasto Alessandrino (1620)

IL CANTO D’AMORE DELL’ASSIOLO

La nostra Associazione organizza visite guidate notturne nel Parco Naturale della Cervelletta, durante le quali possiamo apprezzare aspetti inediti quando, dopo il tramonto tutto si quieta e al comparire delle stelle il parco si anima di nuova vita con il frinire dei grilli, il bagliore delle lucciole, lo strusciare di qualche animale nascosto. Ma ad un certo punto, più si fa buio e ci inoltriamo lungo i sentieri, si alza un richiamo penetrante e ipnotico: è l’assiolo, che con cadenza fischia come fosse un allarme inceppato il suo richiamo d’amore “Chiù”, a cui deve il nome popolare. Ha la voce potente che si può sentire in lontananza in un instancabile “chiù, chiù”, melanconico, ritmato, che si interrompe solo a piccoli intervalli di 1 o 2 secondi. E’ l’anima delle notti d’estate, la colonna sonora del buio insieme alla luna, in attesa di una risposta che spesso si può ascoltare in un duetto tra maschio e femmina, coppia che si forma per la vita.

L’assiolo è il più piccolo tra gli strigiformi – misura poco più di 18 cm. – trascorre la bella stagione nei parchi, nei giardini, in zone alberate in prossimità delle abitazioni umane, zone aperte per nidificare e covare, poi in inverno emigra in Africa.
Il suo piumaggio è sofficissimo, va dal rossiccio al grigio ed è capace di mimetizzarsi con i tronchi degli alberi dove si nasconde nelle cavità. Si ciba principalmente di grossi insetti e di altri piccoli animali (cavallette, cicale, topi…).
Il “chiù” dell’assiolo, ha assunto una sua dignità poetica con il Pascoli delle Myricae: nella lirica “L’assiuolo”, prima è “una voce”, poi un “singulto”, infine un “pianto di morte”.
Come tutti i rapaci notturni, cui è legata l’idea della morte (gufi, civette, allocchi) viene annoverato tra gli uccelli portatori di sventura. I grandi occhi gialli cerchiati e lo sguardo fisso e magnetico ipnotizzano chi lo scorge ma, al di là delle credenze popolari, il suo è principalmente un canto d’amore, sentinella notturna che scompare con la luce dell’alba che avanza a nuova vita.