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Il Sambuco

Il SAMBUCO comune (Sambucus nigra) è un arbusto di medie o grandi dimensioni, che talvolta si trova in forma di albero con altezza massima di 10 metri. Appartiene alla famiglia botanica delle Adoxaceae o Caprifoliacee ed è molto diffuso in Italia. Si trova in campagna, lungo i corsi d’acqua, nei boschi umidi ed anche alla periferia delle città, dove rappresenta un relitto della vegetazione spontanea.
Si presenta con una chioma espansa e fitta, il tronco ha la forma contorta e irregolare, con molti nodi e la corteccia è di colore grigio-brunastro, con la superficie rugosa e solcata da profonde fessure. La sezione dei rami e del tronco è molto caratteristica: un midollo centrale di colore bianco, di consistenza soffice ed elastica.
I fiori sono la parte del sambuco più appariscente e riconoscibile. Piccolissimi, a forma di stella e di color bianco panna, si trovano riuniti in infiorescenze a forma di ombrello, che possono raggiungere anche i 20 cm di diametro. Fioriscono tra la fine di maggio ed il mese di giugno, diffondendo il loro dolcissimo profumo nell’ambiente circostante. I frutti arrivano a piena maturità alla fine del mese di agosto e rimangono sull’albero fino a ottobre inoltrato.
Molto ramificato, con folta chioma, ha foglie picciolate, opposte, decidue, in genere pentapennate, di colore verde brillante. Se stropicciate, emanano un odore sgradevole. I piccoli fiori bianchi, sono riuniti in infiorescenze peduncolate, ombrelliformi.
Fin dai tempi antichi, la pianta è stata tradizionalmente usata contro l’insonnia, la tosse, il raffreddore, il mal di testa e altri disturbi.
E’ dunque tradizionalmente associato a numerosi effetti benefici per la salute, anche se in realtà l’evidenza scientifica è decisamente più ridotta; vale la pena notare che si possono usare fiori e frutti (in forma di caratteristiche bacche di colore viola scuro), mentre le restanti parti della pianta (foglie, semi, radici, …) sono tossiche a causa della presenza di sambunigrina e altre sostanze.
Oltre che in medicina naturale, il sambuco viene utilizzato in cucina, per la preparazione di marmellate, gelatine, salse, zuppe, frittelle e un tipico sciroppo (molto comune in Tirolo e Paesi nordici) che può essere usato come tale (previa diluizione in acqua), oppure fatto fermentare per la preparazione di una bevanda alcolica, talvolta paragonata allo spumante.
Dalle bacche si producono i coloranti blu e viola, mentre dalle foglie si ottengono il giallo e il verde e dalla corteccia il nero.
In questo periodo gli alberi sono pieni di fiori ed è il momento migliore per imparare a riconoscerlo e capire la differenza con il suo “cugino” completamente tossico, il Sambucus Ebulus, conosciuto anche come Ebbio.
I fiori sono molto diversi, quelli di sambuco sono piccolissimi, bianchi tendenti al giallino ed hanno un buon profumo, molto intenso.
Le bacche delle due specie si assomigliano molto ma la differenza è che nel sambuco sono rivolte verso il basso, come se fossero troppo pesanti da sostenere, mentre nell’ebbio sono dritte e rivolte verso l’alto.
Nella tradizione popolare nord europea il Sambuco era oggetto di rispetto e in Tirolo lo si chiama ancora oggi “farmacia degli dèi”; in Sicilia invece lo si crede ammazza serpenti poiché simbolo di morte/rinascita.

Perché è considerato magico? 

L’albero del sambuco nella tradizione celtica, possiede forti legami con la tredicesima luna del calendario celtico antico, che rappresenta la fine del vecchio anno con la festa di Samhain oggi conosciuta come festa di Halloween, una festività collegata alla morte e ai morti, da cui deriva il suo simbolismo di morte e fine di un ciclo.
Sotto questa stessa ottica, i druidi e gli antichi Celti gli riconoscevano il potere di allontanare il male. Secondo il mito, i suoi rami vennero usati per costruire bacchette in grado di allontanare i demoni. Al di là di quelle che possono essere considerate credenze e leggente, l’essenza delle sue foglie e l’odore dei suoi bei fiori bianchi si sono dimostrati in grado anche di allontanare gli insetti fastidiosi.
L’albero di Sambuco è quindi collegato al significato del bandire, ai morti, alla guarigione, alla rinascita e al rinnovamento: così come ogni fine ha un nuovo inizio.
Per i celti il sambuco è conosciuto come un simbolo di trasformazione perché è associato con il regno delle fate. La conoscenza antica dei popoli germanici riporta che se ci si trova in prossimità di un antico albero di sambuco durante la vigilia di mezza estate, la terra delle fate verrà rivelata agli occhi del cercatore, inoltre le fate amano la musica emanata da flauti fatti con rami di legno di sambuco.
Nello specifico, l’albero di sambuco (Sambucus Nigra) è l’albero di Holda, una fata del folklore germanico raffigurata come una splendida donna dai capelli d’oro. Abitava nei sambuchi che crescevano lungo i fiumi, i laghi e le fonti. I contadini tedeschi rispettavano a tal punto questo albero che quando lo vedevano si inchinavano per sette volte come ringraziamento per i suoi sette doni.
Non osavano sradicarlo (nel fogliame abitavano anche gli elfi) e se dovevano tagliarne un ramo recitavano questa orazione: “Frau Holda, dammi un po’ del tuo legno e io, quando crescerà, ti darò qualcosa di mio.”
Evidentemente legato al culto agrario: preannunciava un anno siccitoso se le sue infiorescenze erano piccole e povere di fiori, indicava invece un anno propizio per il raccolto se le infiorescenze erano grandi e ricche. E ancora, annunciava un nuovo figlio se i suoi fiori erano gialli.
Con i suoi rami si intagliavano flauti magici: la musica proteggeva le persone dai sortilegi, come testimonia l’opera di Mozart, in cui la Regina della Notte dona a Tamino lo strumento incantato.
Il Sambuco in varie parti d’Europa veniva piantato intorno a monasteri, abitazioni rurali e fortezze perché si credeva che proteggesse i vari ambienti, le persone e gli animali da incantesimi, mali e dai serpenti. Si credeva che lavarsi il viso con la rugiada raccolta dai fiori di sambuco preservasse la bellezza di una donna. Veniva inoltre usato per pratiche divinatorie e come amuleto.
In comune con altri alberi con fiori bianchi, come biancospino e sorbo, il sambuco è fortemente legato alle fate che adorano la musica degli strumenti fatti in legno di sambuco. Il sambuco infatti si presta bene alla realizzazione di fischietti, flauti e altri strumenti musicali. I rami contengono un’anima morbida che i liutai rimuovono per creare tubi cavi. Ancora oggi in Italia con il sambuco si produce la zampogna.
Ci sono molti riferimenti nel folklore che sconsigliano di dormire sotto un sambuco a meno che non si voglia sperimentare un viaggio nell’Aldilà. È possibile che questo sia legato al fatto che il forte odore delle foglie abbia effetti leggermente narcotici.
Con l’arrivo del cristianesimo il sambuco venne demonizzato, come tutti gli alberi di potere del mondo antico. I cristiani credevano che fosse l’albero da cui Giuda si era impiccato, rendendolo quindi sfortunato, oppure che la croce fosse fatta di legno di sambuco. Inoltre, la struttura del suo legno e la sua linfa lo fanno urlare e sputare mentre brucia. Questo aumentò l’idea che fosse il diavolo che sputava bruciando. Venne inoltre anche associato alle streghe e si diffusero in Irlanda e Gran Bretagna molte storie di streghe anziane che vivevano nel sambuco, oppure cavalcavano legno di sambuco.
Si credeva anche che piantare un sambuco vicino a casa la proteggesse dai fulmini. Ancora fino ad un centinaio di anni fa, in Inghilterra, i conducenti dei carri funebri usavano frustini di sambuco per proteggersi dagli spiriti malevoli dei morti.
Di sambuco è la bacchetta magica di Albus Silente, il famoso mago buono della saga di Herry Potter…La Bacchetta di Sambuco (Elder Wand) era uno dei tre Doni della Morte. Secondo la leggenda, chiunque fosse riuscito a riunirla con la Pietra della Resurrezione e con il Mantello dell’Invisibilità sarebbe divenuto il Padrone della Morte (termine che può essere facilmente ed erroneamente interpretato come “Supremazia sulla Morte”: in realtà, come la Rowling stessa ha affermato, Padrone della Morte è colui che non lotta per l’immortalità, ma che accetta la mortalità).
È la bacchetta più potente che esista: è perfino capace di riparare le altre bacchette restituendo loro tutte le capacità originarie, cosa che era creduta del tutto impossibile. La Bacchetta Magica Sambuco è stata la compagna in molte avventure e sfide nella famosa sagra.

Inoltre, “Sambuco” (in arabo ﺳﻨﺒﻮﻕ‎?, sanbūq)) è anche il nome di un tipo di barcone arabo con due alberi inclinati di diversa lunghezza che vengono a formare un triangolo con vele latine; era usato nel Mar Rosso per la navigazione costiera e per la pesca di perle preziose.
Molto controversa poi l’origine del nome sambuco: nel suo significato botanico, dal latino sambucus, forse derivante dal greco con riferimento allo strumento musicale sambyké (in italiano= arpa di forma triangolare); nel suo significa nautico, dall’arabo sanbūq, a sua volta, forse, dal persiano sunbuk.
L’utilizzo del sambuco come cibo è anch’esso molto antico.
Ecco una ricetta delle “Fritelle de fiore de sambugho” etc. di anonimo veneziano del Trecento:
“Toy fiore de sambugho e mitene a mole in late e laselle ben moiare, po’ trala fuora e pestala bene e mitige un pocho de farina e destempera cum ove e cum esso lo late che* sta in moglio lo fiore. Po’ habii la padella con assa’ onto e frizele. Quando son cocte, copri de tresia e bona”.

A cura di Anna Maria Virgili

1º maggio, festa del lavoro o dei lavoratori

Ogni anno in molti paesi del mondo, si celebra il 1° Maggio per ricordare tutte le lotte per la conquista dei diritti dei lavoratori.

Il luogo dove sorge la Cervelletta con il suo antico Casale era un tempo parte dell’Agro Romano, abitato da poveri contadini (i guitti) che lavoravano la terra con mezzi rudimentali, ammalandosi soprattutto a causa delle condizioni di lavoro in un ambiente umido e malsano per la presenza della zanzara anofele, vettore della malaria, malattia che ha mietuto molte vittime fino all’utilizzo del chinino, grazie ad un grande igienista, Angelo Celli e sua moglie Anna Fraentzel.
Oggi l’area è riserva protetta e si può visitare, ma non ancora l’interno del Casale antico, in attesa di una sua completa ristrutturazione per essere restituito al pieno utilizzo dei cittadini.
Sono stati fatti passi da gigante dai tempi di quei lavoratori fino ad oggi, ma la strada per la conquista dei diritti non è mai terminata, poiché anche oggi abbiamo molte vittime del lavoro per mancanza di sicurezza (il 28 Aprile è la Giornata della sicurezza sul lavoro ed anche la Giornata internazionale vittime dell’amianto) e molti giovani non trovano un lavoro buono e stabile.
Ma vediamo brevemente come è nata questa festa.
Venne lanciata l’idea durante il congresso della Seconda Internazionale a Parigi. A metà del 1800 i lavoratori non avevano diritti: lavoravano fino a 16 ore al giorno, in pessime condizioni, e spesso morivano sul luogo di lavoro. Il 1° maggio 1886 fu indetto uno sciopero generale in tutti gli Stati Uniti per ridurre la giornata lavorativa a 8 ore. La protesta durò 3 giorni e culminò, il 4 maggio, col massacro di Haymarket che fu una vera e propria battaglia in cui morirono 11 persone.
Così il 1° maggio divenne il simbolo delle rivendicazioni degli operai che in quegli anni lottavano per avere diritti e condizioni di lavoro migliori. Nonostante la repressione da parte di molti governi, il 1° maggio del 1890 registrò un’altissima adesione e divenne il simbolo delle rivendicazioni degli operai che in quegli anni lottavano per avere diritti e condizioni di lavoro migliori… Oggi quella data è festa nazionale in molti Paesi dell’Unione Europea, Cuba, Russia, Cina, Messico, Brasile, Turchia. Non lo è, invece, negli Stati Uniti.
Nel 1923, durante il ventennio fascista venne abolito il 1° maggio e la festa dei lavoratori confluì nel Natale di Roma (21 aprile), con riferimento alla fondazione della Capitale, nel 753 a. C., come festa autarchica, alterandone il significato collettivo originario.
Nel 1947 (a due anni dalla Liberazione) fu ripristinata la festa del lavoro e dei lavoratori e il 1° Maggio divenne ufficialmente festa nazionale.

A cura di Anna Maria Virgili

Nell’attesa di una giornata di sole…

Con la festa del 1 maggio si celebra il lavoro e i lavoratori (vedi articolo dedicato) ed è occasione unica non solo per non dimenticare le lotte per la conquista dei diritti del lavoro e riflettere sulla loro importanza, ma anche per concedersi una pausa gradevole e divertente, tempo permettendo, con scampagnate, gite fuoriporta e pic nic sul prato. In questa giornata, c’è un binomio alimentare gustoso, sano e particolarissimo, caro ai romani secondo un’antica tradizione: quello delle fave e del pecorino.


Gli abitanti di Colli Aniene e Tor Sapienza possono accedere facilmente al Parco della Cervelletta senza spostarsi fuori porta, evitando il traffico e risparmiando tempo: un’occasione unica per godersi la festa del 1° Maggio. La mattina con una visita guidata organizzata dalla nostra Associazione, lungo i sentieri alberati, alla scoperta di un luogo suggestivo e denso di storia e, al termine della visita, per chi lo desidera, per consumare insieme il pranzo al sacco nel grande prato sottostante l’antico Casale ma soprattutto per concedersi il piacere di gustare fave, pecorino e vino, all’insegna del benessere e del divertimento.
Dal punto di vista nutrizionale, le fave sono ottime come fonte di ferro, vitamine, acido folico, sono ottime per ridurre il colesterolo, perdere peso e migliorare la luminosità della propria pelle. Per quel che riguarda il pecorino romano, invece, oltre ad avere un sapore gradevolissimo e ad avere un’alta digeribilità, si tratta di un alimento ricco di calcio, vitamina E, D e A, proteine e magnesio. L’introduzione nell’alimentazione di questo cibo aiuta a prevenire numerose malattie e a migliorare l’attività del cuore.
La storia di questi ingredienti ripercorre le origini della civiltà romana. Il pecorino, infatti, conduce direttamente alla Roma antica, dove per moltissimo tempo venne considerato l’alimento adatto per i legionari e i soldati che lo consumavano prima di scendere in battaglia. Le fave invece ci portano all’antica Grecia dove originariamente questo alimento veniva legato alla morte e a diverse (e curiose) superstizioni. Ad esempio il celebre Pitagora considerava il baccello della fava come il simbolo dell’accesso al regno dei morti e si pensava che i semi della fava contenessero le anime dei defunti. Anche per questo motivo, ancora oggi, a Roma il 2 novembre (giorno dedicato alla commemorazione dei defunti) si preparano le cosiddette fave dei morti, un dolce a base di cannella e mandorla caratterizzati dalla forma tipica della fava.
Dopo aver pranzato all’aperto immersi nella bellezza che circonda il prato, ricordiamoci di non inquinare l’ambiente con comportamenti inadeguati, facendo attenzione a non danneggiare l’area protetta, a non lasciare carte, bicchieri o avanzi sul posto.
Ai bordi estremi del prato, lungo il filare di alberi che lo delimitano, talvolta si possono osservare cavalli liberi nel loro elegante procedere, segno di una vitalità che generosamente viene offerta alla vista dei visitatori.

A cura di Anna Maria Virgili

Iris della Cervelletta

L’Iris è un genere di piante della famiglia delle Iridaceae, che comprende oltre 300 specie, molte delle quali comunemente note come giaggioli. Il nome deriva dalla dea greca Iris, messaggera degli dei e simbolo dell’arcobaleno che collega il cielo e la terra, l’umanità e l’Olimpo e annuncia il ritorno del sole.

Durante le nostre visite guidate nel Parco della Cervelletta possiamo ammirare in particolare la specie Iris pseudacorus L. più comunemente nota come giaggiolo acquatico o iris gialla delle paludi. E’una pianta selvatica molto efficace per la fitodepurazione di laghetti, molto resistente al freddo, rustica e vigorosa, può raggiungere l’altezza massima fino ad un metro. E’ costituita da lunghe foglie di colore verde grigiastro che partono dalla base formando una specie di stretto ventaglio. Le foglie hanno una nervatura mediana sporgente. Le iris palustri terminano il loro ciclo vegetativo in estate, diventando più gialle, ma riprendono vigore in autunno, restando verdi per tutto l’inverno fino alla primavera. I fiori hanno un diametro di 10 cm e sono di colore giallo intenso. Dopo la fioritura si sviluppano dei frutti che in autunno si aprono lasciando cadere in acqua numerosi semi. La fioritura va da aprile-maggio fino a giugno-luglio. L’esposizione in pieno sole rende tutta la sua luminosità e bellezza. Nel linguaggio dei fiori l’iris giallo ha un significato profondo, indica amore e passione.

Richiama la bellezza nell’Opera di Mascagni “Cavalleria Rusticana”, Atto 1: ‘Fior di giaggiolo’

(Lola:”Fior di giaggiolo, gli angeli belli stanno a mille in cielo, ma bello come lui ce n’è uno solo. (entrando) Oh! Turiddu….”)

Testo a cura di Anna Maria Virgili – Fotografie di Dani Ela